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Non è facile spiegare cos’è un coro o meglio: cosa è veramente un coro. Un insieme di voci che cantano? Si ma è riduttivo. Un gruppo di strani tipi che si divertono a “scimmiottare” i grandi della musica? Ma no! Allora quelli che cantano nelle parrocchie (a volte stonati come non so cosa) durante le liturgie? Be’ si, a volte… ma non è solo questo! Le definizioni accademiche esistono, ma non rendono nemmeno lontanamente l’idea di quello che significhi essere un coro. Esserlo davvero, viverlo, amarlo e odiarlo.
Ma voi… avete mai assistito ad una prova? Avete mai visto che cosa c’è “dietro le quinte”, prima e dopo quell’oretta di esecuzione, più o meno riuscita, che termina con un applauso più o meno caloroso, elargito da un pubblico più o meno competente, più o meno attento, più o meno soddisfatto?
Avete mai osservato da vicino il rapporto del Maestro con i suoi cantori, come li prepara, come li sgrida, come li coccola? No? E allora, venite con me. Vi farò da guida.
Oggi nel coro c’è l’audizione di alcune voci nuove. Speriamo che non si intimoriscano troppo: in fondo noi non siamo professionisti, le nostre porte sono aperte a tutti, purché abbiano un poco di musicalità. E il Maestro è paziente: ascolta, aiuta, suggerisce. Poi affida i nuovi arrivati a cantori più esperti, perché li aiutino ad inserirsi. Non solo per il repertorio, ma anche nella familiarità del gruppo. E si comincia: ascoltate, come le voci si intrecciano, creando suggestioni e vibrazioni. Come si può spiegare l’emozione che può dare l’armonia delle sole voci? Ora una voce, ora l’altra disegnano una linea melodica, ora l’insieme è sommesso, quasi un sussurro, un respiro, ora esplode più forte di un tuono.
Il Maestro interrompe, corregge, chiede un crescendo, un accento, una sfumatura. Insiste, facendo ripetere più volte la stessa frase, fino a che non sarà proprio come lui la vuole.
A volte mi chiedo anche come faccia a mantenere la pazienza con i soliti chiacchieroni che proprio non riescono a star zitti e attenti durante le prove, con chi si ostina a sbagliare un passaggio o un’intonazione…
… e mi chiedo anche come riesca a capire che cosa cercare in un brano, come renderlo “nostro”: perché per quante volte io lo ascolti in interpretazioni diverse di diversi cori, mi rendo conto che proprio quella è la più adatta a noi.
Si lavora, in un coro: si studia non solo il brano, ma anche il contesto musicale dell’epoca a cui appartiene. Si prova, ancora e ancora: uffa, questo passaggio proprio non viene… lo dobbiamo ripetere di nuovo.
Ma poi, quasi all’improvviso, la magia: abbiamo captato quel “non so che” che rende il brano “nostro”, finalmente! E le emozioni incominciano a vibrare all’unisono insieme alle nostre voci ed è proprio questo il segreto di ESSERE un coro, è il vibrare all’unisono, il sorridere dello stesso sorriso, è emozionarsi della stessa musica. E pensare che lo strumento è nostro, unico, personalissimo, diverso per ciascuno di noi: lo strumento è la nostra voce, lo “strumento” siamo noi.
Ma ora basta… silenzio… parla la Musica!